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Esiste una linea sottile a collegamento di episodi diversi fra loro. Un tracciato e verità che tutti dovrebbero conoscere, architetti e non. Tra i personaggi centrali di questa ricognizione, Henry Wotton, ambasciatore e divulgatore nonché proto-agente 007 al servizio segreto di Sua Maestà James I, re d’Inghilterra. Wotton acquisisce i disegni del Palladio, ne divulga i Quattro Libri e nel 1624 pubblica “The elements of Architecture”. Ma la missione che il sovrano ha in mente per il disinvolto ed intellettualmente inquieto diplomatico supera di gran lunga la fantasia. La portata, devastante. La potenza, ben oltre quella delle fictions sull’M16…Uno strappo rescinde il nesso con la prospettiva storica del proprio legato culturale. Un colpo di piccone l’annienta. Azioni alterne accomunano il progetto mondialista dell’Occidente sviluppato con il globalismo religioso del mondo islamico attraverso il proprio braccio armato jidahista. Dal Palladio al sacco di Baghdad è un’indagine nel nucleo nichilistico dell’Occidente attraverso cui transitano le eredità culturali e dove si annidano i maggiori pericoli per la società civile e per i diritti dell’uomo. Si chiarisce il linguaggio profetico di “Ornamento e Delitto” (Adolf Loos, 1908), il senso vero dei pericoli dell’arte e della condanna che pronunciò Platone nella Repubblica (380 a.C.), si demistifica lo stereotipo che la bellezza salverà il mondo. Vengono prese le distanze dalla funzione di fruitori di una versione estetizzante della vita, dal ruolo di organizzatori di una sostenibilità a carattere edonistico in seno al milieu del nostro tempo.

Questi 30 progetti rappresentano un tributo ai miei maestri di architettura e a una storia personale aspirante a un’unità dislocata negli altrettanti pertinenti disegni. Un tributo dovuto senza più riserbo per i tanti diversi cappelli dovuti indossare, in ricognizione di una filigrana biografica che cerca corrispondenze nella molteplicità dei fatti e dei risultati. 

Questi 30 progetti sono anche la chiusura di una fase di lavoro e l’apertura, forse, di una seconda nella quale mettere a punto idee di legami negletti, obliati, come quello ad esempio che era proprio alla techne e alla poiesis, oppure come quelli che ha questa pratica come è stata finora la mia – intesa come l’esercizio per certi versi inconsapevole di un privilegio – che, proprio come avviene per certe virtù o forse tutte le virtù, non può attendersi ricompensa. Tutto questo forse nell’attesa, inevitabile, di un re-ingresso del fare architettura in una progettualità allargata ed inclusiva delle altre manifestazioni dell’esistenza umana.

Certo per molti questo mestiere riapre ad ogni occasione un vecchio conflitto di loosiana memoria, quando, come sosteneva appunto Adolf Loos e dovendolo sperimentare sulla propria pelle, l’unica arte nel costruire è quella che si infonde nell’edilizia funeraria e monumentale, e che il resto svolto come nel mio caso per mantenere il contatto con il mondo del lavoro e possibilmente sbarcare il lunario, attende ancora una definizione. 

Il conflitto di cui si parla si colloca storicamente in quell’ambito di proto-modernità in cui operava Loos, quando una definizione convenzionale di arte non divenne più in grado di designare ciò che la rivoluzione macchinista faceva insorgere relegando progressivamente quanto era parte del fare architettura ai confini del repertorio e nello stile decorativo. Ma esistono anche altri conflitti e contrapposizioni che rimangono per sempre latenti e che si esplicitano in varia misura a seconda delle individualità calate nelle forme del tempo che assumono le mode culturali:

-La tensione verso una palingenesi dell’architettura che mira a convogliare un’ideaprima, archetipica ed atemporale, vicina ad un’idea nicciana di un “eterno ritorno” che sicontrappone alle congiunture mutevoli del gusto, a un’arte che ha conquistato una propriaautonomia in un ambito però accessorio e meramente esornativo della realtà.

-La contrapposizione tra arte (artista a servizio di se stesso, storia individuale, l’essereimmutabile) e architettura (architetto a servizio della società, la storia collettiva mutevolee congiunturale).

-L’antinomia benjaminiana dell’arte nella sua forma celebrativa e l’arte nei suoi aspettiespositivi in una progressiva diluizione e allontanamento del “sacro timore” insito nell’arteauratica. Ondata di democratizzazione ma al tempo stesso svilimento di quella caricadestabilizzante di cui il messaggio veritativo dell’arte si fa portatore.

-Il dissidio tra l’essere uomo (la vita vissuta) e l’essere artista (l’esperienza dell’arte).

Quello che rimane dunque, è una consapevolezza; quella dell’esistenza di un ossimoro nell’architettura che con pulsante inalterabilità sposa il conflitto tra il transitorio e il duraturo, che concede, cristallizza certezze momentanee, rimanendo fedele alle sue invarianti e alle sue forme derivate.

Roberto F. Cicero

Roberto Francesco Cicero è un attivo ambientalista, autore e architetto con una carriera professionale operativa in tre continenti. Nato in Nord Africa da genitori italiani, si è formato professionalmente, oltre che in Italia, in paesi in via di sviluppo e negli Stati Uniti, dove risiede. Ha pubblicato tre precedenti saggi sull’architettura, un manuale operativo e numerosi altri scritti su mensili di cultura umanistica. Vincitore di due concorsi di progettazione, è co-founder di Systems For Living, non-profit attiva nel progetto eco-compatibile e promozione della sostenibilità ambientale e sociale. Con SFL (www.systems4living.org) fornisce sostegno a comunità svantaggiate e progetta opere multimediali interattive realizzando cortometraggi di interventi ad impatto zero sull’ambiente.

Recensioni

Una nota sull’autore. Curva: Tempo in equilibrio.
Di Jani Scandura, Professore Associato.
Dipartimento di Letteratura Inglese
Università del Minnesota.

Nato in Nord Africa da genitori italiani e artista di formazione, Roberto F. Cicero è un architetto e designer che ha lavorato in Europa, Stati Uniti, Nord e Est Africa. Tornato a Roma da adolescente poco prima della rivoluzione libica, RFC ha studiato con l’architetto Adriano Gentili e successivamente architettura e teoria presso l’Università di Roma “La Sapienza” sotto Bruno Zevi (1918-2000), Luigi Pellegrin (1925-2001) e Maurizio Sacripanti (1916-1996). Sia Pellegrin, un sostenitore dell’architettura organica europea, sia Sacripanti, un pensatore e architetto integrazionista d’avanguardia, respingevano la lezione impartita dal movimento neo-razionalista “Tendenza” che dominava il design e la teoria architettonica italiana negli anni ’70, cercando invece un rapporto diverso con e attraverso la storia dell’architettura. In contrasto con il rigoroso formalismo e la semplicità archetipica di Giorgio Grassi, ad esempio, che faceva riferimento a forme classicheggianti ridotte nei materiali moderni e sottolineava la collocazione delle forme rettilinee nello spazio, Pellegin e Sacripanti, ciascuno a suo modo, mettevano in primo piano l’interrelazione del tempo e dello spazio
rivendicando la centralità del contenuto sulla forma, del movimento e della relazionalità sul codice razionalistico e meccanicistico.

Forgiato dai suoi maestri, ma anche da un ancor più lontano patrimonio culturale legato alla sua adolescenza trascorsa a Tripoli, con il carico di eredità del futurismo e del razionalismo bianco delle colonie italiane dell’Africa settentrionale e orientale, l’opera di RFC resiste alla sterilità neo-razionalista e alla citazione del design postmoderno, si oppone cioè a quell’estetizzazione dell’ecologia che attraversa tutto il pensiero del movimento moderno internazionale, per immaginare di nuovo un’architettura contemporanea che mantenga un legame concettualmente rigoroso con la storia. L’esperienza professionale di RFC è una rara combinazione di competenze legate al suo variegato portfolio interdisciplinare di lavoro che risale a oltre 30 anni e attraversa 3 continenti, dove, insieme a tipici incarichi di architettura, si sono fusi design industriale, interior design navale per navi da crociera, e la lunga esperienza di consulenza ingegneristica presso enti pubblici in aree della diversità culturale amministrate da organi di governo della cooperazione internazionale. A quest’ultima pratica in particolare, attraversata da momenti di grande sintesi di istanze economiche e tecniche all’interno di un confronto con i fattori culturali e ambientali locali, è responsabile del suo approccio radicale. Le “azioni” di RCF come co-Founder di Systems For Living (www.systems4living.org) si oppongono ai processi di “recupero” automatico della “Società dello spettacolo” (Guy Debord) e riformano un’idea di sviluppo insieme a una nozione convenzionale di arte e architettura, prendendo le distanze da una risposta edonistica alla domanda di sostenibilità data sia dalla produzione industriale che dal mondo professionale e imprenditoriale del terzo millennio.

Le sue opere sollecitano attivamente la domanda su come il passato, e in effetti la storia stessa, siano resi presenti nell’architettura contemporanea senza fare leva sulla mascherata monumentale, senza ritornare alla venerazione antiquaria o ricorrere al pastiche critico. Per farlo attinge da Nietzsche che cercava nell’antistorico una costellazione tra vita e storia, il mantenimento di una continuità fondamentale con la forza del passato inchiodata dall’oblio, la capacità di un sentire antistorico e di dimenticare momentaneamente i fatti della storia che possono avere significato solo all’interno di un quadro di interpretazioni.

Il suo lavoro rappresenta una serie di sforzi per pensare attraverso problemi “classici” tipici e fondativi utilizzando strumenti contemporanei. Ad esempio, i progetti di design di RFC per il tavolo “Libra” e la sua proposta di scultura “Libra Labor” per il concorso del Monumento al Lavoro, rappresentano due occasioni per considerare il concetto di equilibrio caro alla “storia” in una forma asimmetrica. Dopo l’ultimamento del progetto RFC si rende conto dell’anologia con il bassorilievo di Fidia “Il cavaliere ammantato” presente nel Partenone, non come precursore formale, ma come esempio che pone la stessa domanda di fondo; una domanda a cui Fidia sembrava aver risposto senza l’aiuto del poligono funicolare : come può un corpo fisico mantenere il suo equilibrio mentre è in movimento? Il suo design quindi mette in azione e esplora la questione della stabilità e del movimento, di ciò che non può cadere, ma che sembra sul punto di farlo. Questo è quindi il monumento proposto, facente riferimento agli ideali razionalisti del lavoro ma consentendo la possibilità di una mobilità destabilizzante la minaccia di una dottrina irrigidita e monumentale. Annuncia il lavoro mentre rende presente la minaccia di un tale annuncio.

Un’analogia ulteriore è racchiusa nel progetto di RFC per l’auditorium “Sala Tirreno” all’interno della sede della Giunta regionale del Lazio a Roma. Il suo compito era quello di progettare un anfiteatro e questa divenne l’occasione per mettere in discussione il tipo architettonico non come immagine o ideale e nemmeno come scrive Giulio Carlo Argan, “come l’idea di un elemento che dovrebbe servire esso stesso da regola per il modello”, ma per la problematica percettiva per la quale il tipo funge da risposta momentanea. Se ogni edificio porta con sé il residuo dell’esperienza delle forme già compiute in progetti ed edifici, come sottolinea Argan, allora, si chiede RFC, è possibile riconoscere la tipologia architettonica in modo che non sia mera citazione parodistica. Anche qui è possibile notare una possibilità, per quanto distante, di una analogia, ma il parallelo tra il suo progetto e il Teatro Olimpico di Palladio non è disconoscibile.Il quarto libro di RFC “L’ossimoro della tradizione” è stato pubblicato all’inizio del 2014 e presentato all’Università di Roma “La Sapienza”. Una nuova edizione del suo “Dal Palladio al Sacco di Baghdad” è uscita nel Dicembre 2020 con La Caravella Editrice.